Al mandolino, Gioviale era capace di sbalordire con le sue strabilianti esecuzioni pieni di virtuosismi, con le sue geniali interpretazioni in grado di raggiungere ritmi addirittura frenetici. Chi lo definì il "Paganini del mandolino", ben comprese la grandezza del personaggio.
Nella sua arte, Gioviale non ebbe rivali, anche se nel panorama siciliano e catanese in particolare, non mancavano i musicisti professionisti o dilettanti capace di stupire per la loro naturale predisposizione all'arte musicale. E questi personaggi, dediti all'artigianato o addirittura agli umili mestieri, si formavano nelle botteghe di lavoro o nei circoli privati; raramente nei teatri cittadini che contavano. Questi musicisti o "orecchisti" (perché suonavano senza leggere la musica; solo ascoltando il motivo musicale) di solito non erano destinati alle grandi platee ma ad occasionali esibizioni pubbliche per lo più familiari.
Cominciò all'età di 10 anni l'attività musicale di Gioviale. Dopo avere assistito ai concertini che si svolgevano quasi tutte le sere a chiusura della giornata lavorativa in una sala da barba in via Plebiscito, imparò a suonare il mandolino. Successivamente si cimentò nel suono del banjo, della chitarra e del violino. Quest'ultimo strumento egli cominciò a studiarlo al convitto di via Crociferi. Come violinista, entrò a far parte dell'orchestra del teatro "Bellini". Ma era il mandolino lo strumento che più lo affascinava. Intorno al 1923, giovane musicista, ebbe modo di farsi apprezzare da Pietro Mascagni venuto a Catania per dirigere una propria opera. Il musicista toscano, nel corso di uno spettacolo musicale offerto in suo onore all'Hotel Bristol, sarebbe rimasto ammirato dalla versione de "La danza esotica" eseguita al man-dolino da Gioviale. Anche nell'episodio riferito da Saverio Fiducia, successe qualcosa di analogo.
Protagonista questa volta, il noto tenore Dino Borgioli che casualmente ascoltò in una trattoria di via Paternò, "La danza delle ore" eseguita da Gioviale con l'accompagnamento della chitarra suonata da un certo Costa. Ne rimase talmente stupito da offrirgli una tournee in Spagna, a Madrid, il musicista andò lo stesso. Nella città madrilena, racconta un aneddoto, durante una prova di abilità, costrinse il mandolinista avversario ad ammettere pubblicamente la propria sconfitta. Nella ricca anneddòtica legata al suo "mito", si racconta inoltre di una gara mandolinistica svoltasi nel 1922 ad Acireale nella tenuta di un noto politico del luogo. Nella città ionica, Gioviale diresse l'orchestra a plettro formata da 19 elementi che si aggiudicò la gara sbaragliando tutte le altre formazioni orche-strali che costituivano il meglio dei mandolinisti Siciliani. Gioviale ebbe modo di "catturare", come ci riferisce ancora il Fiducia in un articolo commemorativo scritto nel 1969 a vent'anni dalla morte, le simpatie del maestro Leopoldo Mugnone.
Questo direttore d'orchestra che godeva fama di "duro" e "scorbutico" dopo la mirabile esecuzione della serenata del secolo atto dell'Otello", rivolgendosi a Gioviale che l'aveva eseguita, così si sarebbe espresso: "Ho diretto un centinaio di volte il capolavoro Verdiano, ma una serenata come questa, così eseguita, fu sempre prima d'ora un ardente desiderio". Gioviale amava viaggiare: l'Africa, l'Inghilterra, la Spagna, l'Austria, le tappe principali della sua carriera. In Italia suonò a
Torino, Milano, Roma, Genova e Palermo. Poi negli Stati Uniti.
Nel corso della sua permanenza a New York, dal 1926 al 1929, conquistò un'altissima reputazione in campo concertistico e discografico. Nel suo repertorio, oltre a Frontini, Emanuel Calì e alle proprie composizioni caratterizzate dalle "acrobatiche" esibizioni, vi furono: Bellini, Mozart, Grieg, Ponchielli, Verdi, Mendelsson, Mascagni. Ma l'opulenza del nuovo continente e soprattutto il rafforzarsi dei ritmi estranei alla sua cultura musicale; forse anche tanta nostalgia della sua terra, lo convinsero a tornare. la sua fama ha ormai raggiunto l'apice: è membro della Federazione Italiana del Plettro; suona e dirige nelle orchestre a plettro siciliana e romana; entra a far parte dell'orchestra Toscanini alla "Scala".
A Catania, prese parte ad una trasmissione radiofonica settimanale a diffusione nazionale intitolata: "I canti dell'Etna".La sospensione del programma per "riduzione di autonomia", si disse, dovette incidere notevolmente sulla sua decisione di ritornare negli Stati Uniti. Era in attesa delle apposite autorizzazioni per l'espatrio, quando si manifestò il tumore al polmone che in breve tempo lo avrebbe condotto alla morte. L'ultimo concerto lo tenne al club della stampa nel febbraio del 1949.
Scrisse moltissime opere per mandolino, quasi tutte polke, valzer e mazurche incise nelle migliori case discografiche. Tra queste ricordiamo le più note: "Viale fiorito"; "Ritornando da Vienna"; "Biancuccia"; "Allegra compagnia; "Occhi di bambola"; "Amorino"; "Balliamo l'ultima mazurca"; "Serate primaverili"; "L'ultimo amore". Due storici e scrittori, in particolare, si occuparono di lui: Francesco Granata e Saverio Fiducia. Un fatto è certo: la figura artistica di Gioviale andrebbe meglio approfondita; se non altro perché quella sua abilità tecnica che aveva conferito al man-dolino una voce così speciale, non vada perduta per sempre. Una strada alla periferia della città, è tutto quello che Catania fino a questo momento gli ha saputo dedicare: ben poca cosa, forse, per un mandolinista che suonava la "Lucia di Lammermoor" in sei diverse voci, facendo esplodere la platea di scroscianti e prolungati applausi.